A seguito degli ultimi avvenimenti, sia a favore che contro, riguardanti la figura dell’Osteopata e l’Osteopatia stessa, posso intuire che la chiave dei dissensi e delle incomprensioni sia una non completa conoscenza della pratica osteopatica; dopo anni di studio dell’anatomia umana, non accetto assolutamente che qualcheduno millanti che l’Osteopatia non si appoggi completamente su di essa.
Partirei quindi da un concetto fondamentale di questa terapia manuale, che ha sicuramente dei punti deboli, ma che ha anche dimostrato di poter accompagnare e favorire lo stato di salute delle persone che si affidano alle mani di un Osteopata: la disfunzione somatica (riporto delle caratteristiche che ho rinvenuto nella Paziente che ha ispirato questo post, al fine di risultare il meno eterea possibile).
Intervertebral somatic dysfunction: a discussion of the manipulable spinal lesion - Fryer, 2006
La disfunzione somatica è definita come (Ward, 2003) (Fryer et al, 2006):
un’alterata funzione delle componenti relative al sistema somatico, ossia quelle scheletriche, artrodiali, mio-fasciali, vascolari, linfatiche e neurali (gli ultimi studi stanno approfondendo il ruolo a livello tissutale dei fusi neuro-muscolari, degli organi tendinei del Golgi e dei propriocettori), con un’associata alterazione dello stato biomeccanico ottimale del soggetto (Liem, 2016) (Shaw et al, 2012).
La disfunzione somatica deve essere rilevata grazie alla presenza di quattro criteri:
(1) anormalità della trama tissutale (percepita talvolta come una maggior densità e una minor elasticità - Borgini et al, 2010) – PAZIENTE S. C.: scaleno posteriore, SCOM, piccolo pettorale e trapezio di destra fibrotici e densi
(2) asimmetria – PAZIENTE S. C.: elevazione e anteposizione della spalla destra, con inclinazione laterale destra del capo
(3) restrizione di movimento – PAZIENTE S. C.: motivo del consulto della Paziente, ossia restrizione nella rotazione e nell'inclinazione laterale sinistra
(4) dolorabilità – PAZIENTE S. C.: il cingolo scapolare destro della paziente risultava molto dolente non solo alla digitopressione profonda, ma anche a quella superficiale
tutte caratteristiche rilevabili attraverso un esame palpatorio fisico, che analizza nello specifico tutte le regioni anatomiche del Paziente in visita (Licciardone and Kearns, 2014) (Snider et al, 2013).
Secondo lo studio di Licciardone et al (2014), la restrizione di movimento è la caratteristica più comunemente ritrovata, mentre la dolorabilità è quella meno comune.
Si è visto come la presenza di una disfunzione somatica possa essere associata ad una condizione di dolore a livello del rachide (PAZIENTE S. C.: rachide cervicale) e una diminuzione dello stato di salute del Paziente (Licciardone and Kearns, 2014), sebbene essa non sia una diagnosi, bensì un’osservazione che rientra nella prima valutazione osteopatica.
Tale valutazione iniziale deve essere necessariamente completata da test manuali e funzionali (PAZIENTE S. C.: dal punto di vista della ricerca di strutture dolenti [compartimento artro-muscolare], dell’alterato controllo motorio [gestione del compartimento cranio-cervicale], della qualità modificata del tessuto prima, dopo e durante il test e/o il movimento [mobilità attiva, test degli scaleni, delle coste alte, della clavicola, della scapola e a livello dell'articolazione gleno-omerale], ma anche da come i tessuti reagiscono quando sono vicini alla barriera di restrizione articolare [mobilità passiva]).
Questa procedura introduttiva deve precedere qualsivoglia trattamento manipolativo (Chaitow, 2013). Tale esaminazione potrebbe risultare non standardizzata e difficilmente riproducibile, ma serve proprio a questo la continua ricerca: negli ultimi anni sembra infatti che l’ultrasonografia sia un metodo di indagine molto utile al fine di identificare la disfunzione somatica, aiutando così l’esame palpatorio (Shaw et al, 2012).
Infine, l’unica accortezza che si potrebbe suggerire agli Osteopati, secondo la letteratura, è di identificare non solo la presenza della disfunzione somatica (PAZIENTE S. C.: disfunzione cervicale e costale), ma anche la sua severità (PAZIENTE S. C.: la disfunzione primaria era in cervicale), soprattutto in Pazienti asintomatici, in cui ci potrebbero essere dei compensi e/o degli adattamenti in aree differenti (lo scorrimento deficitario può coinvolgere infatti diversi tessuti, come quello fasciale, quello viscerale e quello muscolare), con manifestazioni cliniche specifiche (Qureshi et al, 2014) (Chaitow, 2013).