A lungo e da diversi punti di vista si è disquisito sull'importanza terapeutica e clinica delle catene mio-fasciali, per esempio determinando da che elementi anatomici siano formate, prendendo in considerazione l’importanza di una loro analisi da un punto di vista olistico o comprendendo quali siano le loro funzioni, sia durante il movimento che la statica, ma poche volte è stato sviscerato il miglior modo per trattarle se si presentano in uno stato di accorciamento. Tale alterazione funzionale è purtroppo molto spesso associata in soggetti sportivi alla ripetizione non simmetrica di certi gesti atletici o al potenziamento eccessivo della compagine muscolare, mentre se consideriamo la nostra quotidianità e il nostro corrente stile di vita, dobbiamo prendere atto che sta diventando sempre più sedentario, a discapito del fisiologico rapporto fra le strutture di sostegno e di movimento, le quali dovrebbero invece lavorare sinergicamente e in equilibrio fra di loro.
Da quanto sopra evidenziato e da come si evince dagli studi di Rata et al, Gill et al e Hasday, bisogna discutere di diversi aspetti per quanto riguarda il trattamento delle catene mio-fasciali se rinvenute dal Terapeuta in accorciamento e se implicate - come primarietà o come secondarietà - in una possibile sintomatologia funzionale o dolorifica del Paziente, sia che esso sia uno sportivo agonista, sia che pratichi sport a livello amatoriale:
(1) Stretching statico: in diverse occasioni mi è capitato di assistere ad uno stretching performato attraverso dei piccoli "rimbalzi" sulla posizione scelta, ma dalla letteratura si nota come sia preferibile uno stretching statico, poiché risulta un metodo di trattamento maggiormente efficace per le catene mio-fasciali che hanno perso elasticità e lunghezza. Infatti gli autori dello studio di Rata et al hanno concluso come tutte le catene mio-fasciali valutate dopo un input di allungamento statico, abbiano registrato un riequilibrio dell'attività elettromiografica, dimostrando l'efficacia dello stretching statico come metodo di trattamento globale delle catene mio-fasciali (Rata et al, 2018)
(2) Rapporti anatomo-funzionali: proprio per la loro caratteristica di collegare diverse parti del corpo, dal triangolo superiore alla base d’appoggio bipodalica, oltre allo stretching statico è da considerare nel percorso terapeutico di allenamento delle catene mio-fasciali e nella scelta degli esercizi da eseguire, anche il rapporto tra i vari elementi della catena mio-fasciali stessa durante i movimenti (Hasday L.): si è visto infatti che per avere dei movimenti biomeccanicamente efficienti, per esempio durante il sollevamento dell’arto inferiore esteso, il sistema per la dissipazione delle forze abbia la necessità di creare una notevole forza di compressione a livello della colonna vertebrale, della parete addominale e del dentato anteriore (Gill et al, 2015) (Hasday L.) (3) Equilibrio tra catene mio-fasciali: non è importante solo considerare una catena cinetica mio-fasciale alla volta durante gli esercizi funzionali a corpo libero, ma si è desunto che ci siano anche delle chiare interazioni neuro-muscolari tra due catene opposto, come ad esempio nelle catene longitudinali. Durante sbilanciamenti laterali o rotativi sull'asse longitudinale si è vista infatti un’attivazione in concerto della catena muscolare anteriore con quella posteriore (Von Lassberg et al, 2014). Grazie a questa osservazione, si evince come durante l’allenamento funzionale con l’obiettivo di ripristinare una corretta biomeccanica delle catene mio-fasciali, si debbano considerare non solo tutti gli elementi di una catena, ma anche coinvolgere due catene mio-fasciali contemporaneamente, al fine di evitare movimenti poco efficienti (Hasday L.)
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