“Ogni ordine è un atto di equilibrio di estrema precarietà” - Walter Benjamin
Molte volte durante il colloquio con altri terapisti manuali o durante convegni di lavoro, parlando di postura, ho sentito le parole “fuori asse”, “non in equilibrio” o “storto”, con un’accezione negativa dei termini scelti, per sottolineare la staticità e l’immobilità di un corpo che non segue un certo schema biomeccanico.
Ma ha senso considerare l’equilibrio solo come l’essere “in asse” e “dritto”?
Partiamo allora dalla definizione di equilibrio: l’equilibrio è la base motoria multi-sistemica di partenza per la capacità di mantenere l’ortostasi, di muoversi e di ritornare ad una posizione stabile successivamente a uno spostamento, grazie a precisi processi centrali di controllo neuro-muscolari (Thomas et al, 2019) (Ludwig, 2017) (Bronstein and Pavlou, 2013).
L’aspetto interessante è che questa capacità non è né statica né fissa, bensì è influenzata fortemente in maniera dinamica da diversi e continui fattori anatomici, biomeccanici e neuro-fisiologici, che richiedono una certa attività muscolare di risposta, per mantenere così le capacità apprese (Ludwig, 2017).
Quindi da quanto trovato, dobbiamo considerare l’equilibrio di un corpo umano come uno stato in cui sono presenti diverse forze continue che si compensano in maniera costante ed efficiente, la cui risultante sia nulla.